venerdì 20 febbraio 2015

Interludio 1

Come al solito il viaggio pareva non finire mai, con la noia che regnava sovrana, come in tutti i nostri lunghi spostamenti a cavallo. La fame era ancor più pressante della noia così decidemmo di lasciar cucinare a Doc, un’importante riserva di fagioli, per consentirci di riempire gli stomaci. Poche ore dopo, ripresa la cavalcata, ci rendemmo conto che la noia era probabilmente finita, dato lo spettacolo che si poneva di fronte a noi. In una piccola radure erbosa, una decina di capi di bestiame giacevano morti, senza un apparente senso logico. Essendo il più capace nell’analisi sia delle scene che dei corpi, mi accosto al bestiame per cercare di capire quanto accaduto, o almeno avvicinarmi il più possibile alla soluzione. Le mucche in questo particolar caso erano state, non semplicemente sventrate barbaramente, bensì lavorate con precisione chirurgica, con quella che sembrava essere una tecnologia avanzatissima, e se aggiungiamo che effettivamente erano stati asportati utero e sistema riproduttivi dell’animale, avevamo davanti un bel mistero che aspettava solo di esser svelato. Proprio per l’altissimo senso del dovere, il gruppo sceglie di addentrarsi nella vicina città, per indagare e per rifornirsi di provviste. Cavalcando con una misteriosa calma notiamo solo all’ultimo un ragazzetto, che ci corre incontro armato di fucile da una parte e di una busta dall’altra, ringraziando la leggendaria calma del capitano, il giovane, non viene colpito dalla distanza prima di arrivare a noi, così riusciamo ad ascoltare ciò che ha da dirci. Composto e con un fare preciso, estrae il suo orologio da tasca, controlla l’ora, domanda un paio di volte al nostro leader se è effettivamente risponde al nome di John Carter; ma solo alla seconda risposta affermativa gli porge la busta, salutandolo con tutti i rispetti, nonostante lo stupore. Il capitano con un aria stranamente interrogativa comincia a leggere, e poi avvolto dai pensieri lascia cadere la lettera per permettere anche a noi di leggerla. La lettera rappresentava un continuo mistero, richiedeva a Carter di fidarsi, parlava di una minaccia incombente e solo lui era in possesso della chiave per risolverle la situazione, chiave che accuratamente nascosta in un enigma: “Vado avanti, vado indietro, corro e mi fermo, ma non cambio mai di posto. Cosa sono?” Ma una volta finita di leggere la parte più inquietante di questa missiva era proprio la firma con data, John Carter e una data risalente a ottant’anni prima. Scossi al punto di non aver alcun appiglio dietro tale lettera, diventa imperativo indagare nella vicina città. Davanti al saloon veniamo accolti dallo sceriffo che ci racconta come stanno le cose in città, infatti da qualche tempo a questa parte, il gigantesco tumulo indiano vicino il villaggio è teatro di fenomeni piuttosto strani, unito alla sparizione di bestiame e addirittura di donne. Il tutore della legge, ci spiega che di notte, dal tumulo si vedono luci e odono rumori strani e che nessuno degli avventurieri andati a indagare o lì in cerca di tesori indiani è mai tornato, ma lui non è a conoscenza che noi siamo ben diversi dai soliti avventurieri. Salutiamo con velocità e ci apprestiamo ad investigare finché la luce del giorno è ancora dalla nostra parte. Il tumolo è effettivamente un semplice luogo di sepoltura indiano, questo però a differenza del solito è stranamente alto e largo, quasi fosse qualcosa di diverso, talmente imponente che sembra quasi difficile a occhi stabilire la natura della particolare nuvola stazionatagli direttamente sopra. Rispettando, i diciamo parenti di Toro, cominciamo una lenta scalata, che sarebbe progredita molto tranquillamente se non fosse per il reverendo, che preso da un immaginario delirio anche più del solito, fugge parlottando del signore, per sparire velocemente alla nostra vista. Verso la cima intravediamo distintamente che, improvvisamente, il nuvolone si è trasformato in nembo di tempesta, fulmini, che sembrano comparire da qualcosa nascosto nella nuvola. Una specie di uccello metallico si mostra e sembra volerci attaccare, qualche scarica e poi si dirige sfrecciando sulla città, come in cerca di qualcosa. Mentre tentiamo di riprenderci da questa specie di improvviso temporale, notiamo che l’uccello ha come invaso con una strana luce verde un frammento di città, pochi secondi e sfreccia verso di noi, ma questa volta carica verso il tumulo, che sembra aprirsi e accoglierlo all’interno. E’ una frazione di secondo è Carter si inserisce nell’apertura e svanisce con il mostro metallico. Concordiamo tutti che la soluzione di quanto è accaduto è da riferirsi all’enigma. La mancanza di una leadership forte, si fa sentire, anche se è proprio dal flusso continuo di idee, che il mio ingegno lavora per trovare una soluzione, per quanto assurda essa sia, e la risposta è nel ragazzo incontrato stamani e nel suo orologio! La vera soluzione all’enigma il suo orologio! Ritorniamo quindi di corsa dove l’abbiamo visto l’ultima volta ed è così che lo troviamo nel capanno vicino. Il ragazzo ci racconta di chiamarsi John e che aveva in custodia la lettera e l’orologio donato da suo nonno, di nome John anche lui. Armeggiando con l’orologio, scopro all’interno una specie di pietra violacea luminosa, senza ombra di dubbio ciò che lo strano uccello stava cercando. Facendo nuovamente meta al tumulo, alla ricerca di un modo per entrare, quando purtroppo sopraggiunge nuovamente l’uccello meccanico per investirci col suo raggio verde, che scopriamo ha l’abilità di far perdere i sensi. Di nuovo coscienti, ci troviamo all’interno di una struttura di metallo, un elemento che però non riesco a riconoscere, con armi in pugno o con gli occhi spalancati, cominciamo a esplorare la zona. Presto ci rendiamo conto di essere in una specie di gigantesco laboratorio, dove sono in bella mostra in delle enormi vasche di vetro, parti organiche di animali e donne, che stessero studiando il sistema riproduttivo? Esplorando la struttura troviamo Carter e notiamo che ha appena subito una tremenda tortura, egli ci racconta, di essere stato aggredito e rinchiuso da uno strano essere che lo minacciava a causa di una pietra che egli avrebbe nascosto… nel passato! Per quanto assurda la situazione possa sembrare, è stato proprio lo stesso Carter, catapultato nel passato ha nascosto la pietra nel suo orologio da taschino per allontanarla da quell’essere. Ancora indecisi sul da farsi, è proprio il nemico (un essere umanoide che dice di chiamarsi Enlil) a comparire e inveire minacce sul capitano, i racconti di Carter si rivelano del tutto veritieri e il nemico ha la meglio su di noi in pochi minuti, e poco prima di stringere in mano la pietra violacea, un urlo per quella che sembra essere una fine poco gloriosa… se non fosse che dopo aver chiuso gli occhi per il dolore, mi risveglio insieme ai miei compagni all’accampamento dopo aver finito gli ultimi fagioli. Mentre scrivo queste parole prima che sfuggano dalla mia mente, l’ossessione di capire come sia stato possibile che sei individui abbiamo fatto lo stesso sogno, lascia posto all’incredibile possibilità che non sia stato solo una visione.

4 commenti: